6)Progetto Roma

Al tempo delle origini di Roma (754-509 a.C.), la zona di Trastevere era una terra ostile che apparteneva agli Etruschi. Roma la occupò per poter sorvegliare il fiume da ambo i lati. In ogni caso la sua importanza era soltanto strategica: Roma non aveva interesse ad estendersi urbanisticamente su quel lato. Infatti Trastevere era collegato al resto della città solo da un debole ponte di legno, il Sublicio.
In età repubblicana, le zone vicino al fiume si popolarono di quei lavoratori che avevano a che fare con il fiume, come marinai e pescatori, e ci fu una grande affluenza di immigrati orientali, principalmente ebrei e siriani.
l Trastevere del medioevo aveva vie strette, tortuose e irregolari; inoltre, a causa dei mignani, avancorpi sporgenti lungo le facciate delle case, non c'era spazio sufficiente per il passaggio dei carri. Alla fine del '400 tali mignani furono demoliti, ma nonostante ciò Trastevere rimase un labirinto di viottoli.
Forte era il contrasto tra le ricche e possenti abitazioni dei signori e le casupole delle persone più povere.
Grazie al parziale isolamento (si trovava al di là del Tevere) e all'ambiente multiculturale fin dal tempo dell'antica Roma, gli abitanti di Trastevere, chiamati trasteverini, venivano a formare quasi una popolazione a sé stante: popolani di nota tenacia, fierezza e genuinità. Inoltre, le donne erano considerate molto belle, con occhi e capelli molto scuri e dai bei lineamenti.
Basilica di Santa Maria in Trastevere
La Basilica di Santa Maria in Trastevere è una chiesa di Roma, la più importante del rione Trastevere.
La facciata conserva nella parte superiore un mosaico del XIII secolo, raffigurata Maria in trono allatta il Bambino e affiancata da dieci donne recanti lampade. La facciata è preceduta dal portico progettato da Carlo Fontana (1702).


Sulla sommità del campanile romanico, si vede un mosaico raffigurante la Madonna col Bambino, in una nicchia.
All'interno, a tre navate su colonne ioniche architavate (ispirato a Santa Maria Maggiore), si notano il bel soffitto ligneo, disegnato da Domenichino (autore anche dell'Assunzione al centro) e alcune pitture risalenti al restauro del XIX secolo, sotto papa Pio IX. Nella prima cappella della navata destra si trova Santa Francesca Romana di Giacomo Zoboli mentre nella seconda cappella la Natività di Etienne Parrocel.
Nella conca dell'abside si può ammirare un mosaico con l'Incoronazione della Madonna (XII secolo), ornato, nella parte inferiore, da Storie della Vergine, sempre a mosaico, opera di Pietro Cavallini (1291). La prima cappella della navata sinistra è la cappella Avila, con stucchi in stile barocco di Antonio Gherardi (1680). Tra la quarta e la terza cappella v'è la tomba di Innocenzo II opera dell'architetto Vespignani che tra il 1866 e il 1877 eseguì un restauro stilistico della chiesa. Nella terza cappella lunette, soffitto e pala d'altare di Ferrau Tenzone.
S.Cosimato
Da un documento del Regesto Farfense sappiamo che il nobile romano Benedetto Campagna fondò, verso la metà del X secolo, un monastero dedicato ai Ss.Cosma e Damiano in mica aurea (perché costruito sulla sabbia presente sulle pendici del Gianicolo, dal colore lievemente dorato), più noto come S.Cosimato, appellativo derivato successivamente dalla contrazione dei due nomi.
I lavori terminarono nel 1069 e nello stesso anno Alessandro II consacrò la chiesa.
Nel 1230 Gregorio IX affidò il monastero ai Camaldolesi, costretti, dopo appena quattro anni, ad abbandonarlo per il loro comportamento scorretto. Passò quindi all'ordine delle Clarisse che nel 1246 fecero ristrutturare la chiesa e l'edificio conventuale.
Nonostante altri interventi di restauro nei due secoli successivi l'intero complesso si trovava, nel 1475, in uno stato di totale fatiscenza che per scongiurarne la definitiva rovina intervenne papa Sisto IV, il quale fece riedificare la chiesa e parte del monastero dalle fondamenta.
La chiesa ha una semplice facciata in laterizi, con un bel portale quattrocentesco, scolpito da qualche allievo di Andrea Bregno.
L'interno, ad una navata, ha un bel soffitto ligneo e conserva alcune opere d'arte di un certo interesse, tra cui una "Madonna col bambino tra S.Francesco e S.Chiara", opera di Antonio del Massaro, detto il Pastura, allievo del Pinturicchio.
Nel 1643, durante la costruzione delle mura Gianicolensi, il monastero rischiò seriamente di essere demolito, ma il pericolo venne scongiurato anche grazie alla fermezza delle suore che si opposero con tutte le loro forze. Dopo il 1870 venne espropriato dalle autorità italiane ed adibito ad ospizio per anziani.
Attualmente ospita alcuni reparti dell'Ospedale Nuovo Regina Margherita, progettato negli anni Sessanta dall'architetto Alegiani e dall'ingegnere Secchi ed inaugurato nel 1970.
Oggi l'unico segno della presenza dell'antico monastero sull'omonima piazza di S.Cosimato è il grazioso protiro d'ingresso del XII secolo  che permetteva un tempo l'accesso al complesso monastico.
Degni di nota sono i due chiostri del monastero, uno medioevale, realizzato intorno al 1230, l'altro risalente al restauro dell'epoca di Sisto IV (XV secolo).

Il primo è uno dei più grandi della Roma medioevale: quadrangolare e porticato su tutti i lati, con colonnine binate che sostengono stretti archetti di mattoni a doppia ghiera (nella foto a sinistra).
L'interno è occupato da un giardinetto, con alcuni resti antichi sparsi qua e là.
Interessanti anche i frammenti di iscrizioni, epigrafi, sarcofagi e lastre tombali di diversa provenienza murati nelle pareti interne del chiostro.
Dal lato sinistro del chiostro, attraverso una breve scala, si giunge al secondo chiostro, quello realizzato da Sisto IV.
Di minore ampiezza, è a pianta quadrata, con nove arcate per lato rette da pilastri ottagonali in travertino, arricchiti da bei capitelli a motivi vegetali.
S.Crisogono
S.Crisogono, situata nella omonima piazza, è una delle più insigni ed antiche basiliche romane: la chiesa originaria risale addirittura al 499 ed è visibile nei sotterranei, rimessa in luce dagli scavi avvenuti nel 1924.
Questa, a sua volta, venne edificata su uno dei più antichi tituli, ossia quelle case private dove si riunivano segretamente i cristiani.
La chiesa subì vari restauri e rifacimenti.
Il primo risale al 1126, un periodo di intensa attività edilizia a Roma, al quale appartiene il bel campanile romanico.
Il portico e la facciata appartengono al 1626, quando la chiesa venne restaurata radicalmente dal Soria per incarico del cardinale Scipione Borghese: sull'architrave vi è, infatti, una epigrafe che ricorda il cardinale, mentre sull'attico vi è posta una fuga di vasi, aquile e dragoni borghesiani.

Fu in questa occasione che il campanile, fatto intonacare e sormontare da una pesante cuspide per volontà del cardinale Borghese, rischiò di crollare a seguito di gravi lesioni alla struttura, tanto che si dovettero chiudere alcune trifore.
L'ultimo restauro risale al 1866. S.Crisogono fu decorata da Pietro Cavallini ed alla sua scuola appartiene il mosaico absidale. L'interno (nella foto a sinistra), a forma basilicale, è diviso in tre navate sorrette da 22 colonne di granito.
Due altre colonne di porfido, giudicate le più grandi esistenti a Roma, sorreggono l'arcata centrale ed altre quattro di alabastro sono nel baldacchino rifatto in forme barocche.
Al centro del soffitto si trova la Gloria di S.Crisogono del Guercino, purtroppo solo una copia perchè l'originale fu trafugato e venduto in Inghilterra nel 1808, dove ancora oggi si trova alla Stafford House di Londra.
Fino ai primi del Settecento era qui custodita la statua della Vergine del Carmelo, popolarmente detta la "Madonna de noantri", trasferita poi nell'adiacente chiesa di  S.Agata.
Porta Portese
Porta Portese fu costruita nel XVII secolo in sostituzione dell'antica  porta Portuensis (dalla quale ne deriva il nome per deformazione) che si apriva nella cinta delle  Mura Aureliane.
La porta antica era posta un centinaio di metri più a sud e prendeva il nome dalla via Portuensis che da essa usciva e che conduceva ai porti di Claudio e di Traiano.
Onorio e Arcadio, negli anni 401-402, per far fronte ad eventuali attacchi dei Goti, effettuarono importanti e massicci lavori di rinforzo e restauro dell'intera cinta aureliana: i due ingressi di alcune porte furono allora ridotti ad uno solo ma la  porta Portuensis, come risulta dalla documentazione pervenuta, fu l'unica che mantenne i due fornici originari, per il motivo evidente di agevolare maggiormente i traffici commerciali con Portus (l'odierna Fiumicino), la città sorta tra le due zone portuali di Claudio e di Traiano.

Nel 1643 papa Urbano VIII Barberini commissionò la costruzione delle  Mura Gianicolensi agli architetti Giulio Buratti e Marcantonio De Rossi, con l'intento di racchiudere entro le mura il  Gianicolo. Porta Portese, arretrata un centinaio di metri più a nord rispetto alla  portuensis ma sullo stesso asse stradale, venne ultimata l'anno successivo, nel 1644, sotto il pontificato del nuovo pontefice Innocenzo X Pamphilj, come evidenziato dallo stemma di famiglia posto sopra il fornice.
La porta, sostenuta da quattro colonne su alto stilobate, presenta un architrave con balaustra e due nicchie laterali rimaste inspiegabilmente vuote.
Lo spiazzo creatosi in seguito all'apertura della nuova porta diede vita, nell'ultimo dopoguerra, al tradizionale ed oramai conosciutissimo di Porta Portese.
In passato un mercato del genere si svolgeva in  piazza della Cancelleria, ma il mercato di Porta Portese fu la continuazione del fiorente mercato nero che si svolgeva a  Tor di Nona durante gli anni duri della Seconda Guerra Mondiale.
Roma mantiene comunque il primato del più antico, popolato e conosciuto mercato delle pulci nazionale. È quello domenicale di Porta  Portese, talmente caratteristico da essere spesso citato nei romanzi popolari, nelle sceneggiature cinematografiche o nei testi delle canzoni di musica leggera.
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Nato nel 1700, sui banchi del più famoso mercatino italiano si può trovare davvero di tutto: il nuovo e l'usato, antiquariato e modernariato, oggetti e abbigliamento, ma anche generi alimentari, artigianato e falsi d'ogni genere (dichiarati, il più delle volte, come nel caso di orologi, pelletteria e articoli di moda).
L'immensità del mercatino si associa alla mole immensa di persone che lo frequentano nel tipico orario dei veri mercatini delle pulci: apre prestissimo la mattina (molti mercanti sono in strada anche prima dell'alba) e chiude verso le due del pomeriggio. La fama e il grande afflusso di merci di questo mercatino tornano hanno in un certo senso calamitato a Porta Portese praticamente tutta l'attività del brocantage laziale.
La maggior parte degli espositori sono veri e propri rigattieri, una categoria in via d'estinzione nella maggior parte dei mercatini italiani.
Piazza Trilussa
Sulla sponda destra del Tevere, proprio di fronte a ponte Sisto, si apre piazza Trilussa (prima denominata piazza di ponte Sisto) con la bellissima fontana commissionata da Paolo V Borghese agli architetti Van Santen (detto il Vasanzio) e Giovanni Fontana: è la seconda mostra dell' Acqua Paola, ossia dell'antico acquedotto Traiano, a seguito del prolungamento della sua canalizzazione per alimentare, oltre ai rioni di Trastevere e Borgo, anche quelli di Regola e Ponte.
Infatti originariamente la fontana era situata dalla parte opposta del fiume, sullo sfondo di via Giulia, addossata all'edificio denominato dei Centopreti, ossia l' Ospizio dei Mendicanti fatto costruire da Sisto V. Il trasferimento risale al 1898, in seguito alla costruzione dei muraglioni del Tevere.
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La fontana è costruita con un muro di blocchi di travertino; il bell'arco è racchiuso tra colonne e piloni a bugnato liscio e risale al 1613.
I basamenti delle due colonne sono decorati con draghi, simbolo araldico della famiglia Borghese.
In alto, la composizione è chiusa da un frontone con un'iscrizione, sormontata dal grande stemma di casa Borghese.
L'acqua fuoriesce dalla sommità dell'arcata e, sotto forma di zampillo, dalle bocche dei draghi.
Sulla piazza è situato il monumento commemorativo che le dà il nome, quello del grande poeta romanesco Trilussa (nella foto a destra), al secolo Carlo Alberto Salustri, nato a Roma nel 1871 ed ivi morto nel 1950.
La sua misura caratteristica fu l'apologo breve, la favoletta lineare, una poesia ironica ed al tempo stesso semplice e moderata.

La statua in bronzo fu realizzata dallo scultore Lorenzo Ferri e l'inaugurazione avvenne il 21 dicembre 1954.
Accanto alla sua immagine è riportata una sua poesia, "All'ombra", scelta, probabilmente, perché più delle altre rispecchia il moralismo, l'arguzia aperta e cordiale, che nasconde un'ombra di disprezzo verso le vicende umane, di questo grande personaggio:
"Mentre me leggo er solito giornale spaparacchiato all'ombra d'un pajaro, vedo un porco e je dico: - Addio, majale! vedo un ciuccio e je dico: - Addio, somaro! Forse 'ste bestie nun me capiranno, ma provo armeno la soddisfazzione de poté dì le cose come stanno senza paura de finì in priggione".
Piazza in Piscinula
Piazza in Piscinula è così denominata per l'antica presenza di uno stabilimento termale con vasche o piscine (piscinula è un diminutivo) delle quali Roma in passato era colma e che davano il nome a molte località, anche se poi l'appellativo rimase soltanto a questa piazza ed alla via omonima adiacente.
Sulla piazza, un angolo magico di antica memoria medioevale se non fosse ridotta a misero parcheggio, si affacciano le quattrocentesche Case Mattei realizzate inglobando edifici del Trecento già di proprietà Mattei, un altro ramo della famiglia insediatosi intorno alla  piazza Mattei.
Le tracce più antiche si rivelano nelle finestre centinate ed a crociera, nelle bifore e nel portichetto con una colonna medioevale ed una loggia, visibili nella foto a sinistra.
L'edificio, frutto di sovrastrutture e modifiche attuate nell'arco di cinque secoli, fu scenario di una tragedia familiare nella quale vi furono assassinati ben cinque membri dei Mattei.

La famiglia è presente a Roma sin dal 1282 e si originò con un Matteo della famiglia Papi, dai quali ereditò per sé e la sua stirpe la carica di "guardiano de' ponti e ripe", con il compito cioè di mantenere l'ordine pubblico in tempo di sede vacante, qualificandosi quindi come famiglia filopontificia. Nel Seicento, con la morte di Annibale e Maria Mattei, morti senza eredi, subentrarono i Della Molara, che dettero anche il nome ad una piazzetta antistante il palazzo, verso il  Tevere, scomparsa con la costruzione dei muraglioni.
Poi le case andarono in parte all'oratorio della  Chiesa Nuova, in parte al duca Massimo come erede dei Della Molara ed in parte al marchese Origo.
Nel 1870 l'edificio ospitò la "Locanda della Sciacquetta", un termine poco glorificante visto che a Roma vi si indica una donnicciola, una servetta ma anche una sgualdrinella, ed infatti, probabilmente, fu proprio questa la destinazione d'uso della locanda; nel 1890 le case furono acquistate da due nuovi padroni, Giacomo Nuñez e il barone Celsia di Vegliasco, che fecero restaurare il complesso restituendogli le forme originali.
Un ulteriore restauro si ebbe nel 1930 ad opera dello scenografo Walter Mocchi, fino a quando nel 1960 il complesso venne suddiviso in varie unità immobiliari.
Sul versante opposto della piazza si trova la chiesa di S.Benedetto in Piscinula (nella foto a destra), sorta, secondo la leggenda, nel 543 sulle rovine della Domus Aniciorum (o casa degli Anici), una nobile ed antichissima famiglia romana alla quale sarebbe appartenuto anche S.Benedetto da Norcia (al quale infatti la chiesa è dedicata), che vi avrebbe risieduto durante il suo soggiorno romano nel 470.

La struttura muraria ed alcuni capitelli della chiesa rivelano l'esistenza di un oratorio risalente al secolo VIII, dal cui restauro ed ampliamento, dopo il saccheggio di Roberto il Guiscardo del 1084, sarebbe poi nata la chiesa.
Le prime notizie documentate risalgono al 1192 quando Cencio Camerario, nel suo Liber Censuum, la menziona come "San Benedetto de piscina". Nel XV secolo fu restaurato il tetto ad opera dell'antica e nobile famiglia romana dei Castellani.
Nel 1678 fu rifatta la facciata ed ai lati furono costruiti il collegio di S.Anselmo, adibito ai Benedettini di passaggio a Roma, e l'ospedale fondato da don Lami e funzionante fino al 1726, ossia fino a quando Filippo Raguzzini, per incarico di Benedetto XIII, inaugurò l' Ospedale dedicato a S.Maria e a S.Gallicano: sia il convento sia l'antico ospedale sono scomparsi.
Nel 1825 papa Leone XII soppresse la cura parrocchiale e fu così che per un decennio la chiesa subì un tale abbandono che furono necessari ben due interventi di restauro: i primi nel 1835, i secondi, ben più consistenti, nel 1844, grazie alle sovvenzioni della famiglia Massimo.
I lavori, affidati all'architetto Pietro Camporese, videro il rifacimento della facciata con portale architravato, finestrone semicircolare e timpano. Il 21 marzo 1939, dopo la rinuncia al diritto di patronato della famiglia Lancellotti, la chiesa fu riaperta al pubblico e restaurata a spese del Vicariato di Roma.
Dal 1941 al 2002 la chiesa fu sede di una comunità religiosa femminile, l'Istituto di Nostra Signora del Carmelo, ma dal 2003 il Vicariato di Roma ne ha affidato la custodia agli Araldi del Vangelo, un'Associazione Internazionale di Diritto Pontificio.
Bello e caratteristico il campanile, il più piccolo di Roma, che conserva anche la più antica campana di Roma datata 1069. Il campanile, in laterizio ed a pianta quadrata, è suddiviso in due piani da una semplice cornice a denti di sega, nei quali si aprono piccole bifore sostenute da una colonnina; frammenti marmorei di varia forma e colore decorano la facciata.
Piazza G.G.Belli
La piazza, situata dinanzi a ponte Garibaldi, deve il suo nome alla memoria del più grande cantore dialettale di Roma, Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863).

Il monumento-fontana dedicato al poeta è opera dello scultore siciliano Michele Tripisciano (che rinunciò al proprio compenso) e sorse per pubblica sottoscrizione.
L'importo preventivato di 30.000 lire fu raggiunto anche grazie agli incassi di rappresentazioni straordinarie ai teatri Adriano, Valle e Quirino.
Inaugurato il 4 maggio 1913, il Belli, raffigurato con cilindro e bastone, poggia la mano destra sulla spalletta di ponte Fabricio, accanto ad una delle erme marmoree quadrifronti per le quali il ponte fu anche denominato ponte Quattro Capi.
Voglio  segnalare due cose: il bastone è attualmente in ferro, fissato con cemento e dipinto di nero a simulare l'ebano, in sostituzione di quelli in legno originali, rubati più volte da burloni o da cacciatori di souvenir; inoltre si noti la mano destra del poeta con l'indice ed il pollice "quasi" chiusi a cerchio: forse è soltanto una posizione della mano appoggiata alla spalletta del ponte, ma il popolo interpretò malignamente quel gesto che a Roma ha un significato alquanto volgare (significare andare a quel paese).
Il monumento presenta la seguente iscrizione: AL SUO POETA GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI IL POPOLO DI ROMA MCMXIII; in basso, in rilievo, si trova il padre Tevere con la Lupa ed i Gemelli.
Sul retro, sempre in rilievo, è raffigurato un gruppo di popolani intorno alla statua di Pasquino.
Ai lati del monumento vi sono, sollevate di tre gradini, due fontanelle (una delle quali nella foto a destra), simmetriche e gemelle, ciascuna formata da una bella vasca trilobata in marmo, con bordo modanato, nella quale un mascherone barbuto, appoggiato su una mensola ed al centro di due ampie volute, versa un abbondante getto d'acqua a ventaglio.
Piazza S.Callisto
La piazza prende il nome dalla chiesa che qui vi sorge, costruita, insieme all'annesso palazzo di S.Callisto, sulla casa romana dove papa Callisto I si ritirava in preghiera per sfuggire alle persecuzioni di Alessandro Severo e dove, sorpreso, fu prima gettato dalla finestra e poi annegato in un pozzo, che si conserva ancora nel giardino dell'ex convento di S.Callisto annesso alla chiesa.
La struttura originaria era un piccolo oratorio poi trasformato in chiesa nel 741, ricostruita nel XII secolo e ristrutturata da Callisto III nel XV secolo, quando fu elevata a titolo cardinalizio; nel 1608 Paolo V assegnò chiesa e convento ai Benedettini cassinesi, il cui convento era stato demolito per allargare il palazzo pontificio del Quirinale. Ulteriori restauri si ebbero tra il 1610 e il 1613 su progetto di Orazio Torriani e poi sotto il pontificato di Pio XI.

La facciata della chiesa si presenta divisa in due ordini, quello inferiore con due finte finestre che fiancheggiano il portale, mentre quello superiore con due volute laterali con candelabri che inquadrano il grande finestrone centrale, pure chiuso, con timpano curvilineo e volto di angelo: sul frontone campeggia il grande stemma di Paolo V Borghese.
L'interno è a navata unica con una cappella per lato: in particolare nella cappella di destra vi sono due angeli attribuiti al Bernini che sorreggono una pala raffigurante S.Mauro abate di Pier Leone Ghezzi; nella copertura della volta vi è un affresco di Antonio Achilli raffigurante La Gloria di S.Callisto. Alla destra della chiesa sorge un grandioso complesso edilizio, costruito per volontà di Pio XI da Giuseppe Momo nel 1936, come sede delle Congregazioni della Santa Sede: è costituito da quattro fabbricati che si snodano attorno ad un grande cortile dove sorge la statua di Pio XI.
Nel 1959 le Congregazioni furono trasferite al Vaticano ed oggi il palazzo ospita alcuni Consigli e Commissioni. Al civico 9, di fronte alla chiesa, sorge palazzo Dal Pozzo, costruito per questa famiglia nella prima metà del Seicento.
Fontana della Botte
La fontana della Botte si trova in via della Cisterna ed è addossata ad un parete in laterizio, inquadrata in un arco di travertino.

È formata da una base sulla quale poggia un "caratello", come veniva chiamata anticamente a Roma la botte con la quale si trasportava il vino, dal cui foro centrale fuoriesce un getto d'acqua che si versa nel sottostante tino da mosto.
La botte è affiancata da due misure da vino da un litro, dai bolli dei quali esce l'acqua.
Forse è interessante qui ricordare come un tempo i romani utilizzavano chiamare le misure del vino: sospiro o sottovoce, un decimo di litro; chirichetto, un quinto di litro; quartino, un quarto di litro; fojetta, mezzo litro; tubbo, un litro; barzilai, due litri, che prese il nome dall'on.Barzilai (1860-1939) che usava offrire il vino durante la campagna elettorale in questi recipienti.
La fontana della Botte fu realizzata nel 1927 su progetto dell'architetto Pietro Lombardi con allusione alla caratteristica della zona dove fin dai tempi antichi era intenso il traffico del vino per la nutrita presenza di osterie e trattorie.
Questa, come altre fontane rionali, fu commissionata all'architetto Lombardi dal Comune di Roma che volle posizionare alcune fontanelle, tutte allusive, nelle decorazioni, agli stemmi dei rioni o alle attività dei luoghi.
Il Gianicolo
L'occupazione del Gianicolo, che la tradizione attribuisce al re Anco Marcio, era indispensabile alla difesa della città: il colle costituiva la naturale testa di ponte sulla riva destra del Tevere, di fronte al ponte Sublicio.
Questo carattere risulta dall'uso, certamente assai antico, di alzare sul colle una bandiera come segnale di sicurezza quando si svolgevano i comizi nel Campo Marzio, fuori dalle mura. Sul Gianicolo vennero sepolti noti personaggi: oltre al mitico re Numa, ricordiamo i poeti Ennio e Cecilio Stazio. Il colle fu sacro a Giano (donde il nome) che vi aveva istituito la sua città e vi aveva dedicati tanti altari quanti erano i mesi dell'anno. Giano, il dio bifronte, regnava, secondo la religione romana, su ogni luogo di passaggio (Giano deriva dal latino ianus, cioè porta, uscio) e, visto che il Gianicolo fungeva simbolicamente da porta della città verso l'esterno, la sua ubicazione in questo luogo è alquanto logica.

Sotto il Gianicolo, secondo leggende medioevali, vi era una porta di metallo che si apriva da sola allorché una provincia romana si ribellava. Appena i romani si accorgevano che la porta era aperta, correvano al Pantheon dove erano collocate tutte le statue che rappresentavano le province: quella che vedevano voltata di spalle, indicava quale era la provincia ribelle e, di conseguenza, sapevano dove inviare le loro legioni per domare la rivolta.
Il Gianicolo fu anche chiamato Montorio (ovvero Monte d'Oro) a causa della rena gialla o mica aurea di cui è composto.
Fu anche teatro degli eroici eventi che si svolsero nel 1849, quando l'esercito francese attaccò la città.
I repubblicani di Garibaldi resistettero per settimane alle truppe francesi di gran lunga superiori, finché non furono sopraffatti: a ricordo di ciò, in piazzale G.Garibaldi sorge la grande statua equestre di Garibaldi , opera di Emilio Gallori ed inaugurata nel 1895.
Alla base della statua vi è scritta la celebre frase "O Roma o morte".
Intorno al piedistallo vi sono quattro statue minori in bronzo con scene di battaglia e figure allegoriche.
Poco distante, in piazzale Anita Garibaldi, sorge la statua dell'eroica compagna dell'eroe dei due mondi, ritratta in un movimentato e bel monumento equestre di Mario Rutelli, eretto nel 1932.
Alla sua base sono deposte le ceneri di Anita, traslate da Nizza nello stesso anno. Secondo un'antica tradizione, il mezzogiorno viene annunciato a Roma da un colpo di cannone sparato dalla terrazza del Gianicolo.
La tradizione risale all'epoca di Pio IX, esattamente al 1° dicembre 1847, quando fu istituito il colpo di cannone tirato da Castel S.Angelo per "ovviare al disordine che può non di rado arrecare il diverso andamento di tanti orologi in questa Capitale", come risulta dal Diario Romano del 30 novembre 1847.
Lo sparo dava l'inizio al suono delle campane delle chiese romane.
Dal 1° agosto 1903 il cannone sparò da Monte Mario, dal luogo dove oggi è l'Hotel Cavalieri Hilton e dal 24 gennaio 1904 dal Gianicolo.
Oggi l'esattezza è determinata da un sistema di collegamenti telefonici e ottici tra il Campidoglio e il Gianicolo. Un tempo il collegamento era con l'Osservatorio astronomico del palazzo del Collegio Romano, che a sua volta dava il segnale alla "palla" della chiesa di S.Ignazio.
Il cannone attualmente in servizio al Gianicolo (nella foto a destra subito dopo lo sparo) è un obice a fusto mobile della prima guerra mondiale: il "botto" è ottenuto mediante un cartoccio a salve.
Voglio cogliere l'occasione per ricordare il grande attore Checco Durante con una sua poesia in dialetto romanesco che così recita:
"St'usanza che pareva bella e morta / è tornata de moda 'n'artra vorta. / Mo' mezzogiorno a tutte le perzone / j'ariviè segnalato dar cannone. / Quanno lo sento penzo co' la mente / na prejera che viene su dar core / e mormoro: Signore! / Fa ch'er cannone serva solamente / pe' dì all'umanità / che sta arrivanno l'ora de magnà".
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Regina Coeli
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Il carcere di Regina Coeli (Casa circondariale di Roma Regina Coeli)[1] è il principale e più noto carcere di Roma ed è, amministrativamente, la casa circondariale della capitale italiana.
« A via de la Lungara ce sta 'n gradino
chi nun salisce quelo nun è romano,
nun è romano e né trasteverino »

(Detto popolare romano e motto de "Lo scalino", giornalino interno dei detenuti)
Ubicata nel rione Trastevere, al numero 29 della via della Lungara (indirizzo di trista quanto diffusa fama cittadina), è dislocato in un complesso edilizio risalente al 1654 ed in precedenza sede di convento; nel 1881 fu convertito all'uso attuale. Recepì il nome della struttura religiosa, che era appunto dedicata a Maria, Regina Coeli.

L'edificazione del complesso fu iniziata sotto papa Urbano VIII nel 1642, ma la morte di questi fece sospendere i lavori, che furono ripresi dal suo successore, Innocenzo X .
Dal 1810 al 1814 il convento fu confiscato in ottemperanza al decreto napoleonico che imponeva la soppressione degli ordini religiosi.
Similmente accadde nel 1873 allorché le religiose carmelitane (della Congregazione di Sant'Elia) dovettero nuovamente abbandonare il convento, stavolta definitivamente, per un'analoga legge del neonato Regno d'Italia.
I lavori di adattamento delle strutture furono diretti da Carlo Morgini e si completarono nel 1900.
Nel 1902 il carcere fu eletto sede della prima scuola di polizia scientifica (che vi sarebbe rimasta sino agli anni Venti) e del casellario giudiziario, oltre che essere sfruttato come ovvio serbatoio di "materiale di studio" per le nascenti discipline dell'antropologia criminale.
Sempre alla fine dell'Ottocento, fu acquisito un plesso contiguo adibito a carcere femminile, popolarmente noto come "Le Mantellate" (ad anch'esso coevo ex convento, dedicato a Santa Maria della Visitazione).
Durante il fascismo, insieme alla struttura situata in via Tasso, ospitò oppositori politici.
La capienza prevista attuale è di circa 900 detenuti, dato numerico sovente sopraffatto dalla popolazione detenuta effettiva.
La particolare ubicazione del carcere, subito a ridosso del panoramico colle del Gianicolo, rende la struttura vicinissima in linea d’aria ad alcuni punti di questa altura; la balconata del faro del Gianicolo, ad esempio, dista solo qualche decina di metri dalle celle d’angolo. In ragione di ciò, e a dispetto della rigidità dei regolamenti carcerari, era consuetudine, fino a tempi assai recenti, che i familiari dei detenuti vi si riunissero per comunicare con loro gridando.
Per una sorta di cavalleresco rispetto, era consolidata tradizione che le forze dell’ordine non intervenissero a impedire queste comunicazioni, a condizione che lo scambio verbale riguardasse effettivamente solo le notizie importanti e di stretta urgenza (ma i detenuti politici durante il fascismo ricevettero messaggi in codice inoltrati impersonalmente).
Al faro si trovavano, inoltre, persone di tonalità possente che a turno si prestavano gratuitamente a far da portavoce per conto delle donne e, più in generale, di chiunque potesse averne eventualmente bisogno; essi avevano inoltre una funzione ordinatrice del traffico delle comunicazioni da e verso il carcere. Analogamente, all’interno della struttura, le comunicazioni venivano inoltrate, in arrivo e in partenza, passando per una sola delle celle, che diveniva in pratica un centro di smistamento.
Via della Lungara si trova a un livello di circa tre metri inferiore al piano stradale del Lungotevere della Farnesina, ragion per cui, per raggiungere il carcere, bisogna scendere da un livello superiore.
Per entrare nell’edificio bisognava salire tre scalini: sono quelli che, secondo la tradizione romana citata, danno la patente di quirite soltanto a chi li ha oltrepassati.
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Dal punto di vista culinario,e' una zona che pullula di luoghi in cui mangiare la classica cucina romanesca,anche se molti locali si sono,secondo me,"venduti" ai turisti.
Ma vediamo quelli che sono i piu' rappresentativi(mi scusino coloro che eventualmente dimentichero'):

1)RISTORANTE RUGANTINO

Largo san giovanni de matha, 5
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5882101
Una discreta trattoria in cui gustare i piatti della tradizione romana a prezzi tutto sommato discreti in un’atmosfera accogliente e non eccessivamente chiassosa come quella che regna in molti altri locali della zona.(35 euro)

2)CARLO MENTA

Via della Lungaretta, 101
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5803733
Altra trattoria senza ne' alti ne' bassi,locale piccolo.(35 euro)

3)RISTORANTE DA CENCIA

Via della lungaretta, 67
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5818434
Posti anche all'esterno,senza pretese.(30 euro)

4)ALLE FRATTE DI TRASTEVERE

Via delle Fratte di Trastevere, 49/50
00154 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5835775
piu' che discreto,prezzi contenuti,servizio cortese (30 euro)

5)HOSTARIA DAR BUTTERO

Via della Lungaretta, 156
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5800517
Cucina deliziosa,servizio gentile,piatti classici. (30 euro)

6)GINO IN TRASTEVERE

Via della Lungaretta, 85
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5803403
Altro locale "cult",ottima cucina ed ottimo prezzo (30 euro)

7)PIZZERIA CAVE CANEM

Via di San Francesco a Ripa, 173
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5898217

8)RIPA 12

Via di San Francesco a Ripa, 12
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5809093
Elegantissimo,di alta classe,propone vari menu',tra i quali crudi di pesce (70 euro)

SABATINI IN TRASTEVERE

Via della Lungaretta, 5
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5898386
Elegante,alterna cucina romana classica ad altri menu',per esempio di pesce.(60 euro)

ROMA SPARITA

Piazza santa cecilia, 24
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5800757
Veramente godurioso,mangiare qui,me lo ricordo come un posto dove si filosofeggia sulla coda alla vaccinara e sulla pajata.Cucina di alto livello romanesca,ottimi primi ed anche i fritti(carciofi)sono deliziosi....Da consigliare!(30 euro)

RISTORANTE A' CIARAMIRA

Via natale del grande, 41
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5881670
Vegetariano,elegante,pesce,buona la cantina(60 euro)

OSTERIA LA GENSOLA

Piazza della gensola, 15
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5816312
Caro,cucina di pesce ricercata,non per tutti(80 euro)

TAVERNA DE' MERCANTI

Piazza dei mercanti, 3/a
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5881693
Niente primi,solo zuppe e carne alla brace,ottima,discreta la cantina.(45 euro)

RISTORANTE LA CORNUCOPIA IN TRASTEVERE

Piazza in piscinula, 18
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5800380
Specialita' di pesce,cucina romana,caro,elegante(50 euro)

AI SPAGHETTARI

Piazza san cosimato, 58-59-60
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5800450
Economico,cucina deliziosa,fritti,cucina romana.(28 euro)

CAPO DE FERO

Via di san cosimato, 16
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5818038
Da provare i Rigatoni Democratici ed altri primi goduriosi.Economico(25 euro)

LA GATTABUIA

Via del porto, 1
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.584813
Ottima cucina romana e non,discreta cantina.Consigliato.(35 euro)

RISTORANTE ASINOCOTTO

Via dei vascellari, 48
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5898985
Romantico,cantina discreta,chef Giuliano Brenna,cucina creativa.(50 euro)

MO' STÒ

Via della pelliccia, 24
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.64562299
Sito in una vecchia taverna,propone cucina creativa,cucina fornita,caro(60 euro)

TRATTORIA DA ENZO

Via dei vascellari, 29
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5818355
Tavoli stretti,rumoroso,scarno,ma....si mangia da Dio!La vera cucina romanesca!(30 euro)

ALBERTO CIARLA

Piazza san cosimato, 40
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5818668
Elegante,raffinato,caro,specialita' pesce,caro(60 euro)

AUGUSTO

Piazza de renzi, 15
00153 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.5803798
Uno dei migliori della zona;vera cucina romanesca;(25 euro)

Er Campidoglio





La leggenda narra che nel 460 a.C., il Campidoglio fu occupato dai quattrocento armati del sabino Appio Erdonio che, con questo colpo di mano, tentò di farsi padrone della città.
Essi, residenti sul Quirinale, avevano ottenuto il Campidoglio per il tradimento della romana Tarpea, che avrebbe aperto loro le porte. I Sabini però l'avrebbero comunque uccisa seppellendola sotto i loro scudi.
In realtà il nome di Tarpea deve essere più antico della leggenda, ed era la divinità tutelare del Mons Tarpeius, ovvero il Capitolium stesso, e pare che la statua della divinità sorgesse da una catasta di armi, come un trofeo, che ispirò poi la fantasia dei poeti.
Il nome del colle deriva probabilmente dal tempio di Giove Capitolino (Capitolium), o tempio di Giove Ottimo Massimo, o Giove Capitolino, dedicato alla triade capitolina (Giove, Giunone e Minerva), che anticamente occupava la seconda sommità ed era solo un altare.
Il tempio vero e proprio venne iniziato, secondo la tradizione, da Tarquinio Prisco, continuato da Tarquinio il Superbo e terminato solo all'inizio della Repubblica.
Vi si svolgeva il sacrificio finale delle cerimonie trionfali, che precedentemente si concludevano al tempio di Giove Feretro, risalente addirittura a Romolo, il cui nome si riferisce forse alla quercia, l'albero sacro che cresceva sul colle e al quale Romolo appese le armi prese in combattimento al re nemico (spolia opima).
Inoltre il tempio di Giove inglobava i santuari di Terminus e Iuventas, che, secondo il tradizionalismo religioso romano, si preferì incorporare piuttosto che distruggere.
L'edificio subì numerosi restauri e ricostruzioni.
Fu proprio durante le opere di scavo delle sue fondazioni che fu ritrovato un teschio umano attribuito dai contemporanei ad Aulo Vipsania (o Vibenna), uno dei comites dell'eroe Mastarna (Servio Tullio, l'altro essendo suo fratello Celio Vipsania); da questo si ipotizza che abbia preso nome l'intero colle: caput Auli da cui capitolium.
Il Campidoglio è anche la sede del Comune di Roma.
Il termine inglese capitol (palazzo che ospita l'amministrazione di un governo), così come il termine capitale (inteso come città capitale) derivano dal Colle Capitolino.
Il Campidoglio, oggi sede del comune di Roma,  è il più piccolo fra i famosi sette colli di Roma, ma anche il più importante, perché il primo nucleo della città nacque in questo punto, racchiuso da un primitivo sistema di mura difensive a protezione degli abitanti dalle tribù ostili che abitavano i colli circostanti.
In effetti il Campidoglio ha una doppia sommità: una è situata appena a destra dell'attuale piazza, mentre l'altra, quasi adiacente al suo lato sinistro, corrisponde a S.Maria d'Aracoeli.
Il colle del Campidoglio subì nel corso dei secoli vari rifacimenti fino ad assumere l'aspetto attuale che è quello conferitogli dal progetto michelangiolesco.
Il Campidoglio è stato fin dall'antichità un luogo importante per la vita della città, prima come centro religioso e poi come luogo di potere quando vi si sistemò il senato di Roma.
L'importanza sociale e religiosa del Campidoglio crebbe soprattutto durante l'età repubblicana.
Vi furono costruiti diversi templi, fra i quali quello dedicato a Giove Capitolino, il più venerato di Roma.
Il colle sovrastava il Foro Romano, e la sua sommità veniva raggiunta dallo stesso lato, rivolto a sud, dov'era molto meno ripido di adesso. Questo divenne il luogo più sacro di Roma antica.
Nel medioevo, quando i templi erano ormai crollati ed era scomparsa dal sito qualsiasi traccia della civiltà romana, il Campidoglio fu ribattezzato Monte Caprino per l'usanza di lasciarvi pascolare capre ed altri animali.
Il primo edificio importante a sorgere di nuovo in questo luogo fu il Palazzo Senatorio, edificato per la prima volta nel XII secolo sui resti del Tabularium, l'archivio di stato dell'antica Roma. Quest'ultimo era situato ad un'estremità del Foro, ed era stato riutilizzato come deposito per il sale, e poi come prigione.

Oggigiorno la principale attrazione è la piazza del Campidoglio disegnata da Michelangelo a partire dal 1537-39. La piazza è rivolta verso S.Pietro, con pavimentazione dal disegno centrifugo e al centro la statua equestre di Marco Aurelio.
La piazza è circondata da tre palazzi: il Palazzo Nuovo, il Palazzo Senatorio e il Palazzo dei Conservatori, e un tempo ospitava la statua di bronzo di Marco Aurelio.
I palazzi Nuovo e dei Conservatori sono ora le sedi dei Musei Capitolini, che sono la galleria pubblica di sculture più antica del mondo.
Vi si trovano lo Spinario, il Galata morente e la Venere capitolina.
Da qui si gode di una vista insuperabile sul Foro Romano, e fu da qui che Roma antica venne governata.
Il Palazzo Senatorio fu completato da Giacomo Della Porta e Girolamo Rainaldi ed oggi ospita il Consiglio Comunale di Roma.
Il Palazzo dei Conservatori fu incominciato sempre da Michelangelo e finito da Della Porta; il progetto di Palazzo Nuovo fu invece dei fratelli Rainaldi (1655).
Sulla parte sinistra della piazza è ospitata la Pinacoteca Capitolina, che ospita un'invidiabile rassegna pittorica, dal medioevo al 18° secolo: tra questi Tiziano, Veronese, Caravaggio, Rubens, Pietro da Cortona. Nella parte destra il Museo Capitolino con arte ellenistica e romana.
Scesi dalla piazza salendo lungo la scalinatasi arriva alla chiesa medioevale di S.Maria in Aracoeli. La basilica risale al quarto secolo, sorta dove, in base alla leggenda, la Sibilla predisse ad Augusto l'avvento del Redentore.

A ricostruirla in stile romanico-gotico saranno i Frati Francescani Minori a cui venne affidata nel 1250 da Innocenzo IV°.
All'interno si può ammirare uno dei rari pavimenti cosmateschi, i monumenti di Andrea Bregno e Donatello, le pitture di Pietro Cavallini, Giulio Romano, Pinturicchio ed altri.
Ridiscesi sulla strada continuiamo dritti per Via del Teatro di Marcello.
Dopo circa cinquecento metri, sulla destra ci appare il Tempietto della Fortuna Virile, più probabilmente dedicato a Portunus, dio del porto fluviale.
Il tempio è un pseudoperiptero ionico tetrastrilo, ovvero costituito da un pronao a quattro colonne frontali e con semicolonne addossate ai muri esterni.
La costruzione è in tufo mentre le parti lavorate sono in travertino. Nell'872 il tempio fu adibito a chiesa, dedicata a S.Maria Egiziaca.

I Musei Capitolini

La nascita dei Musei Capitolini risale al 1471, quando il papa Sisto IV donò al popolo romano un gruppo di statue bronzee conservate fino ad allora al Laterano, che costituirono il nucleo iniziale della raccolta.
Le collezioni furono successivamente incrementate dai pontefici con opere provenienti dagli scavi di Roma, dal Vaticano o acquistate appositamente per il museo, come la collezione Albani. Intorno alla metà del XVIII secolo Benedetto XIV fondò la Pinacoteca.
Le raccolte archeologiche si arricchirono notevolmente alla fine dell'Ottocento con i rinvenimenti degli scavi per la costruzione di interi quartieri della città, divenuta capitale d'Italia.
Le raccolte dei Musei Capitolini sono esposte nei due edifici che insieme al Palazzo Senatorio delimitano la piazza del Campidoglio, il Palazzo dei Conservatori e il Palazzo Nuovo, collegati tra loro da una galleria sotterranea che ospita la Galleria Lapidaria e conduce all'antico Tabularium, le cui arcate monumentali si affacciano sul Foro Romano.
Nel Palazzo Nuovo, in un ordinamento museale di grande fascino rimasto sostanzialmente invariato dal Settecento, sono conservate le raccolte di sculture antiche frutto del collezionismo delle grandi famiglie nobiliari dei secoli passati: famosissime le raccolte dei busti di filosofi e di imperatori romani, la statua del Galata morente, la Venere Capitolina e l'imponente statua di Marforio che domina il cortile.
Il Palazzo dei Conservatori mostra nelle sale dell'Appartamento l'originale nucleo architettonico dell'edificio, decorato da splendidi affreschi con le storie di Roma e nobilitato dalla presenza degli antichi bronzi capitolini: la Lupa, lo Spinario, il Bruto Capitolino.
La grande aula vetrata recentemente realizzata al primo piano del palazzo custodisce la statua equestre in bronzo di Marco Aurelio, già sulla piazza capitolina, e gli imponenti resti del tempio di Giove Capitolino, affiancati da una sezione dedicata alla più antica storia del Campidoglio, dalle prime frequentazioni alla costruzione dell'edificio sacro, con i risultati dei recenti scavi. Le sale che si affacciano sull'aula ospitano le opere provenienti dagli Horti dell'Esquilino, quelle di raccordo con l'Appartamento dei Conservatori la Collezione Castellani, testimonianza del collezionismo ottocentesco.

Al secondo piano la Pinacoteca Capitolina presenta, in un percorso ordinato cronologicamente dal tardo Medioevo al Settecento, opere di grande rilevanza, come i quadri del Caravaggio (la Buona Ventura e il San Giovanni Battista), la grande tela del Guercino (il seppellimento di Santa Petronilla) e un consistente nucleo di dipinti di Guido Reni e Pietro da Cortona.
Nel Palazzo Caffarelli-Clementino sono situati il Medagliere Capitolino, con le preziose raccolte di raccolte di monete, medaglie, gemme e gioielli, e uno spazio dedicato alle mostre temporanee.

Er Vittoriano


Il Monumento nazionale a Vittorio Emanuele II, meglio conosciuto con il nome di Vittoriano, è un monumento nazionale di Roma situato in piazza Venezia.
Il monumento viene spesso erroneamente identificato con l'Altare della Patria, che in realtà ne costituisce solo una parte; altrettanto erroneamente, il termine Vittoriano potrebbe indurre a pensare che sia un tributo alla vittoria: in realtà deriva dal nome di Vittorio Emanuele II di Savoia, primo Re d'Italia, cui il complesso monumentale è dedicato.
Alla morte di Vittorio Emanuele II, nel 1878, fu deciso di innalzare un monumento che celebrasse il Padre della Patria e con lui l'intera stagione risorgimentale.
Nel 1880 fu bandito un primo concorso internazionale, vinto dal francese Nenot, al quale però non fece seguito una fase attuativa del progetto.
Nel successivo concorso, bandito nel 1882, la partecipazione fu riservata ai soli progettisti italiani.
Fu anche stilato un dettagliato elenco di indicazioni per il progetto, che prescrivevano "un complesso da erigere sull'altura settentrionale del Campidoglio, in asse con la via del Corso; una statua equestre in bronzo del Re; uno sfondo architettonico di almeno trenta metri di lunghezza e ventinove d'altezza, lasciato libero nella forma ma atto a coprire gli edifici retrostanti e la laterale Chiesa di Santa Maria in Aracoeli".
I concorrenti ebbero un anno di tempo per consegnare il progetto. Le proposte presentate furono 98 e delle tre selezionate per la scelta finale la commissione reale votò all'unanimità quella di Giuseppe Sacconi, giovane architetto marchigiano.
Il progetto originario dell'opera (una delle più grandi realizzate nell'Ottocento) prevedeva l'utilizzo del travertino romano, ma il monumento venne poi realizzato in marmo di Botticino, famosa pietra di provenienza bresciana, più facilmente modellabile e proveniente dalla zona d'origine di Giuseppe Zanardelli (che aveva emanato il regio decreto per la costruzione del monumento).
Il progetto di Sacconi si ispirava a grandi complessi classici come l'Altare di Pergamo e il tempio di Palestrina; il monumento avrebbe dovuto essere quindi un grande spazio pensato come un "foro" aperto ai cittadini, in una sorta di piazza sopraelevata nel cuore della Roma imperiale, simbolo di un'Italia unita dopo la Roma dei Cesari e dei Papi.
Per erigerlo fu necessario, fra il 1885 e il 1888, procedere a numerosi espropri e demolizioni nella zona adiacente il Campidoglio, effettuati grazie a un preciso programma stabilito dal Primo Ministro Agostino Depretis. Si procedette così alla demolizione di un vasto quartiere medioevale e furono abbattuti la Torre di Paolo III, il cavalcavia di collegamento con Palazzo Venezia, i tre chiostri del convento dell'Ara Coeli e tutta l'edilizia minore presente sulle pendici del colle. In questo modo cambiò radicalmente l'assetto urbanistico della zona con il sacrificio di via dell'Ara Coeli, ancora esistente, non più strada principale che collegava il Campidoglio con il quartiere adiacente.
I lavori di scavo portarono alla luce l'insula dell'Ara Coeli, risalente al II secolo d.C., ancora oggi visibile sul lato sinistro del monumento; un tratto delle mura dei Re e dei resti di un mastodonte. Nella politica di espropri venne deciso nel 1928 lo smantellamento della seicentesca Chiesa di Santa Rita, che sorgeva alle pendici della scalinata dell'Ara Coeli, ed il suo spostamento, dieci anni più tardi, nell'attuale posizione, nei pressi del Teatro di Marcello.
L'edificio, per le sue notevoli dimensioni, presenta una struttura dinamica e complicatissima con un portico neoclassico caratterizzato da colonne in stile corinzio (con foglie d'acanto scolpite sul marmo) che coincidono ai lati con due rispettivi pronai a due colonne (realizzate sempre con capitelli corinzi) che ci riportano agli splendori del tempietto della Nike (la Vittoria "personificata") dell'acropoli di Atene.
Il coronamento dell'edificio, in corrispondenza di ciascun pronao, è ornato da due quadrighe bronzee sormontate da Vittorie alate, che ripropongono le sinergie architettoniche ed espressive degli archi di trionfo.
La costruzione dell'edificio ha sollevato parecchie polemiche nella critica d'arte, che vedeva nell'edificio un tentativo anacronistico e "mal riuscito" di riportare a Roma la classicità dell'età imperiale. Giornalisti e scrittori polemicamente soprannominarono il monumento "torta nuziale" o "macchina da scrivere".
La fontana di sinistra, di Emilio Quadrelli, rappresenta l'Adriatico, rivolto a Oriente, con il Leone di San Marco. A destra il Tirreno, di Pietro Canonica, con la lupa di Roma e la sirena Partenope, a simboleggiare la città di Napoli.
La scalinata è stata riaperta nel 2000 dopo circa quarant'anni di restauri dell'intero complesso.
All'interno si trovano degli spazi espositivi dedicati alla storia del Vittoriano stesso e la sede del Museo centrale del Risorgimento, che da alcuni anni ospita anche mostre temporanee di pittura.
Diversi sono i simboli vegetali che ricorrono nel monumento, fra i quali si ricordano la palma per la vittoria, la quercia per la forza, l'alloro per la pace vittoriosa, il mirto per il sacrificio e l'ulivo per la concordia.
Dal Giugno 2007 è possibile salire alla terrazza delle quadrighe usufruendo di un ascensore; la terrazza, da cui si ha una vista impareggiabile della città eterna, è anche raggiungibile tramite 196 scalini che partono dal colonnato.
Sulla scalinata si trova l'Altare della Patria che, contrariamente a quanto si crede, è solamente una parte del complesso, ossia la parte situata poco oltre la scalinata, dove si trovano il picchetto d'onore e la grande statua della dea Roma con sfondo dorato. L'Altare della Patria venne disegnato dallo scultore bresciano Angelo Zanelli, che vinse il concorso nel 1906. Alla redazione del progetto partecipò anche lo scultore amastratino Noè Marullo.
Il progetto vincitore era ispirato alle Bucoliche e alle Georgiche di Virgilio. Il bassorilievo di sinistra rappresenta il Lavoro, con nell'ordine (da destra a sinistra) le allegorie dell'Agricoltura, dell'Allevamento, della Mietitura, della Vendemmia e dell'Irrigazione, poi il genio alato del Lavoro sale su un grande aratro trionfale, seguito dall'Industria.
Il secondo bassorilievo simboleggia l'Amore di Patria, con una rappresentazione (da sinistra a destra) di tre donne che portano corone onorarie a Roma, seguite dai labari (le insegne legionarie), poi il carro vittorio dell'Amore di Patria e l'Eroe, a cui segue infine il fuoco sacro della Patria.
All'interno è tumulato il Milite Ignoto: si tratta di una salma di un soldato italiano sconosciuto selezionata tra quelle dei caduti della Prima guerra mondiale scelta proprio in rappresentanza di tutti i soldati che non hanno potuto avere una tomba con il loro nome.
Colei che scelse la salma fu Maria Bergamas, madre del volontario irredento Antonio Bergamas che aveva disertato dall'esercito austriaco per unirsi a quello italiano ed era caduto in combattimento senza che il suo corpo fosse ritrovato.
La salma venne posta nel monumento il 4 novembre del 1921.

Piazza Navona




Piazza Navona è una delle più celebri piazze di Roma. La sua forma è quella di un antico stadio, e venne costruita in stile monumentale per volere di papa Innocenzo X, della famiglia Pamphili.
Piazza Navona, ai tempi dell'antica Roma, era lo stadio di Domiziano che fu costruito dall'imperatore Domiziano nell'85 e nel III secolo fu restaurato da Alessandro Severo. Era lungo 276 metri, largo 54 e poteva ospitare 30.000 spettatori.
Lo stadio era riccamente decorato con statue, una delle quali è quella di Pasquino (forse una copia di un gruppo ellenistico pergameno che si presume rappresentante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo), ora nell'omonima piazza di fianco a piazza Navona.
Poiché era uno stadio e non un circo, non c'erano i carceres (i cancelli da cui uscivano i cavalli da corsa) né la spina (il muro divisorio intorno a cui correvano i cavalli) come ad esempio il Circo Massimo, ma era tutto libero ed utilizzato per le gare degli atleti. L'obelisco che ora sta al centro della piazza non si trovava lì, ma viene dal circo Massenzio, che stava sulla via Appia.
Il nome della piazza era originariamente "in Agone" (dal latino agones, "giochi") poiché lo stadio era usato solo ed esclusivamente per le gare di atletica. Non è assolutamente vero che piazza Navona veniva usata per le battaglie navali: si tratta di una leggenda metropolitana generata dal fatto che la piazza veniva allagata solitamente nel mese di agosto per lenire il caldo; anticamente la piazza era concava, si bloccavano le chiusure delle tre fontane e l'acqua usciva in modo da allagare la piazza.
Tra il 1810 ed il 1839 nella piazza si tennero le corse al fantino, ossia corse di cavalli montati (che però non avevano parentela con le più famose corse dei barberi di Via del Corso.
Piazza Navona è in un certo senso l'orgoglio della Roma barocca, con elementi architettonici e scultorici di maestri come Gian Lorenzo Bernini (la Fontana dei Quattro Fiumi al centro della piazza, che rappresenta il Danubio, il Gange, il Nilo ed il Rio della Plata, i quattro angoli della Terra), Francesco Borromini e Girolamo Rainaldi (Sant'Agnese in Agone, davanti alla fontana del Bernini) e Pietro da Cortona (autore degli affreschi della galleria di Palazzo Pamphilj).

La piazza doveva celebrare la grandezza del casato dei Pamphili (in una sorta di competizione con i Barberini ed i Farnese) ed Innocenzo X volle che vi si erigesse il palazzo omonimo e che la piazza fosse ornata con opere di ingente valore.
Per il riassetto dell'area si ricorse perciò alla demolizione di alcuni isolati, mentre la gara per l'aggiudicazione delle commesse fu combattuta senza esclusione di espedienti fra i principali architetti del tempo; un ruolo di rilievo nella scelta degli artisti fu giocato anche dalla potente Donna Olimpia Maidalchini (influente e disinvolta cognata di papa Innocenzo X), alla quale si disse ad esempio che Bernini avesse donato un modellino in argento del suo progetto della fontana, ma secondo altri fu sempre lei a scegliere Borromini per sostituire il Rainaldi nel completamento della chiesa.

La chiesa ricorda il martirio che la Santa avrebbe subito proprio in qualla parte della piazza e, vuole la leggenda, sarebbe stata eretta esattamente al di sopra di quel postribolo ove avvennero i fatti e che si sarebbe perpetuato in tale funzione, sino appunto al momento della costruzione, negli attuali sotterranei dell'edificio.

È anzi proprio dai fornici di questi locali interrati che la parola latina fornices assunse anche il significato di lupanare (determinando inoltre la derivazione della radice del verbo fornicare). La chiesa attuale sorge dove sin dal Medioevo era già stata eretta una piccola chiesetta parrocchiale.
La notissima leggenda circa la presunta rivalità fra il Bernini ed il Borromini suggerisce che a due delle quattro statue dei fiumi il maligno Bernini abbia voluto concedere speciali tutele contro l'opera dell'avversario: al Nilo una benda sulla testa per sottrarsi all'infelice visione ed al Rio della Plata una mano protesa per ripararsi dal forse imminente crollo della chiesa; ma la credenza è infondata, poiché la fontana fu realizzata prima della chiesa (com'è noto, poi, il Nilo ha la testa bendata perché al tempo non erano state ancora scoperte le sue sorgenti).
È vero invece che sulla facciata della chiesa, la statua di Sant'Agnese ha una postura che apre a molte possibili interpretazioni, fra le quali quella che la famosa mano sul petto, insieme all'espressione del volto, sia segno di sconcerto.
La "competizione" fra i due autori, almeno in questa piazza, si risolse in toni scherzosi: alle critiche dello staff borrominiano sulla possibile tenuta statica di una struttura cava, lo staff concorrente rispose ironicamente, fissando il gruppo con "rassicuranti" tiranti di... semplice spago.
Piazza Navona ha anche altre due fontane: la Fontana del Moro, scolpita da Giacomo della Porta e ritoccata dal Bernini, situata nell'area sud della piazza, e la Fontana del Nettuno (originariamente fontana dei Calderari), situata nell'area nord, opera di Gregorio Zappalà e Antonio Della Bitta.
La piazza ospita un mercato che nel tempo è divenuto tradizionale per la città. Nato come mercato rionale (in realtà si trattava del trasferimento del mercato del Campidoglio), simile a quello tuttora attivo di Campo de' Fiori, risultava caratteristico per l'ubicazione dei banchi che, più o meno come attualmente, seguivano l'ovale. Durante i mesi caldi, il mercato era sospeso per l'uso di allagare la piazza a fini di refrigerio della cittadinanza, abitudine ancora in uso (come del resto testimonia uno dei sonetti sotto riportati) sino all'Ottocento.

Nel tempo, anche in ragione della sempre più marcata destinazione turistica dei luoghi, il mercato fu pian piano riversato sul già esistente vicino mercato di Campo de' Fiori e limitato in questa piazza al solo periodo natalizio; forse anche per la limitazione temporale, il valore tradizionale di questo mercato ha assunto più denso spessore, raggiungendo l'apice con la ricorrenza dell'Epifania e rendendo la "Befana di piazza Navona" uno dei momenti più diffusamente sentiti della cittadinanza.
A partire dal dopoguerra, così come per la scalinata di Trinità dei Monti, numerosi artisti hanno cominciato a frequentare la piazza insediandovi estemporanei banchetti per dipingere e per esporre (anche a fini di vendita) le loro creazioni; parallelamente, è nato inoltre il noto uso di realizzare ritratti (anche caricaturali) per i passanti ed in tempi recenti la piazza è divenuta luogo di incontro e di performance di artisti "stradali" che la rendono, soprattutto nelle ore serali, uno dei punti più vitali ed interessanti della città.

Dove mangiare bene da queste parti?

RENATO E LUISA QUELLI DELLA TAVERNA

Via dei barbieri, 25
00186 - Roma (RM) Italia
Tel. 06.6869660
Caro,ma si mangia molto bene la vera cucina romana.(45 euro)